C’è chi li chiama rider, chi fattorini, persino chi li ha rinominati foody. In ogni caso si tratta di lavoratori digitali, una figura emersa ampiamente con l’esplosione del food delivery. Secondo la legge sono dei lavoratori autonomi, ma effettivamente si ritrovano a sottostare alle regole ed imposizioni delle compagnie di food delivery per cui lavorano. Ad esempio, non possono scegliere che mezzo utilizzare per le loro consegne e non hanno il supporto sufficiente per la manutenzione dei loro veicoli.
Nonostante l’illusoria Carta dei Diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano, sono ancora pochi i punti d’incontro tra le piattaforme di food delivery ed i loro fattorini. Uno di questi riguarda proprio la sicurezza sul lavoro. Infatti, alle multinazionali non importa se fa troppo caldo o troppo freddo, perché i loro rider sono ugualmente costretti a consegnare in bici o in moto ed accettarne i rischi annessi. E purtroppo ci sono stati casi in cui questi rischi sono diventati realtà, costando la vita di molte persone. L’ultimo spiacevole evento è accaduto proprio lo scorso 9 giugno a Bologna coinvolgendo un rider di 51 anni durante una consegna in scooter.
Cosa vuol dire essere fattorini
Essere un rider vuol dire percorrere di corsa chilometri e chilometri da un capo all’altro della città cercando di effettuare più consegne possibili. Perché è in base al numero di consegne che si viene pagati. La retribuzione? Beh, oscilla tra i 2 e i 4€ a consegna. Pensate a quante consegne devono fare per poter portare a casa una giusta retribuzione. Eppure, alcune volte viene da pensare… ma perché accettano questa condizione? Probabilmente perché non credono nelle proprie capacità? Oppure, perché fare impresa per conto proprio è difficile.
Fatto sta che i riders sono delle punte di diamante per l’intero settore del food delivery. Il loro lavoro vale molto di più dell’intera redditività della multinazionale per cui lavorano. Praticamente sono le persone con più esperienza nel settore. Conoscono le strade della loro città a memoria. Inoltre, sanno bene come trattare la clientela e assecondare le loro esigenze. Tutto ciò ha un valore inestimabile.
Dall’altro lato del food delivery
I riders potrebbero cominciare a considerare l’idea di cambiare lavoro, oppure aprire un’attività di food delivery tutta loro. D’altronde, hanno l’esperienza per poterlo fare. Magari, e perché no, avviare un’attività di delivery nel proprio comune di residenza riuscirebbe persino valorizzare il proprio territorio. Molto probabilmente, avviare un business di food delivery come i vari JustEat e Glovo potrebbe essere un modo per dire addio, una volta per tutte, a dure condizioni di lavoro e auspicare ad obiettivi e guadagni nettamente superiori e più gratificanti.
Oggi giorno, le opportunità di avviare la propria attività di cibo a domicilio sono molteplici. Lo si può fare mettendosi in proprio e creando un nuovo servizio di consegna, ma anche affidandosi ad attività già avviate. Giusto per citare un esempio, il franchising di cibo a domicilio con app Chickito. Si tratta di un format che consente di avviare la propria attività di delivery con app inclusa in un paio di mesi, con la possibilità di accedere a fondi per poter lanciare la propria start up.
Ad ogni modo, una cosa è certa: il lavoro dei riders vale più di quel che riescono a guadagnare lavorando per le multinazionali. Pertanto, è bene riconoscere ai riders ciò che è dei riders. Rispettare il loro lavoro e concedere loro i diritti che meritano è un primo passo verso il riconoscimento del vero valore di tutti i lavoratori digitali.